Fiano, Decostruttivismo e Cubismo, ovvero come tre appassionati si trovarono a discorrere di arte e filosofia, dopo essere rimasti inebriati dagli aromi di due sole dita di Fiano.
Ipse dixit: una bella donna
Si era ancora a Montefredane quel giovedì, cento metri o poco più dai vigneti della famiglia Puorro – De Benedetto, con l’auto che transitava lungo la provinciale, in direzione dello svincolo autostradale di Avellino Est.
Tornavamo a casa dopo la stupenda degustazione del Fiano di Avellino DOCG Ventitré Filari, la cantina di Rosa Puorro che produce questo meraviglioso nettare irpino. Una degustazione fatta, peraltro, con la sapiente guida della titolare, la quale ci aveva chiesto “di essere severi” nel nostro giudizio.
Chi sedeva alla mia sinistra e teneva il volante, ad un certo punto, esordisce con voce decisa ed inizia ad illustrare agli altri due colleghi, l’immagine che poeticamente gli era entrata in mente dopo aver assaggiato quelle due dita di vino. Che ci era stato offerto in abbinamento ad una tagliata di salumi, formaggi e marmellata di mele cotogne.
“Una bella donna che si svela lentamente”. Era quella la figura che il Fiano Ventitré Filari gli aveva ispirato. Perché, proprio come una bella donna che decide di mostrare sé stessa dopo essere apparsa agli astanti coperta da un velo che la rendeva temporaneamente invisibile, così il Fiano sapientemente ossigenato da qualche minuto di contatto con l’aria montefredanese, si era lasciato del tutto conoscere.
La realtà decostruita
Quella immagine mi condusse direttamente ai ricordi di gioventù, alla storia dell’arte, al fascino che a quel tempo mi ispirava Picasso.
Allora ricordai che Picasso rappresentava su tela una realtà decostruita. Se i pittori rinascimentali ritraevano la realtà così come la vedevano, il pittore spagnolo dipingeva, invece, la realtà in quanto composta da molteplici frammenti.
Ogni “cubo”, per usare il termine che Henri Matisse diede ai dipinti del cubista Braque, precursore di Picasso, era una delle innumerevoli angolazioni attraverso le quali il mondo ci appariva agli occhi. Non c’è più un solo punto di vista, come è sempre successo, ma ce ne sono centinaia o centinaia di migliaia.
Allora perché non scegliere un dipinto, questa volta? Una donna rappresentata secondo lo sguardo picassiano di realtà scomposta in tante piccole parti? In fondo, l’apparente incomprensibilità del Fiano di Rosa appena aperto aveva poi lasciato il posto alle decine di emozioni di quello stesso nettare finalmente ossigenato.
Picasso era proprio così: incomprensibile ai profani. Ma chiaro a chi comprende il senso della sua pittura. Ecco perché la sua portata a livello artistico è stata eccezionale. Dopo venti secoli di dipinti con un solo punto di vista, un pittore spagnolo capovolgeva tutti i canoni della rappresentazione.
Era lo stesso concetto della donna svelata di chi ci aveva ispirato i pensieri. Una donna che non poteva che essere Dora Maar.
Dora Maar: who is that woman?
Fotografa, pittrice e poetessa, Dora Maar fu amante di Picasso. Anticipò i canoni del surrealismo e fu morbosamente legata al pittore spagnolo.
Sedotta dal geniale pittore voleva rivelare con i suoi scatti la stranezza del contemporaneo.
Ritratta in varie forme dal maestro spagnolo, l’opera che più di tutte la definisce è “Dora Maar seduta”, ove la donna appare con le sue forme spigolose e la sua donna a quadri.
Dora morì nel 1997, dopo aver vissuto per cinquant’anni da sola, legata al ricordo di colui che, follemente amato, la lasciò, facendola sprofondare nella depressione.
L’opera è esposta a Parigi, al Museo Picasso.